IL
SIMBOLISMO DELLA RUOTA

Nella nostra ottica culturale contemporanea, siamo abituati a visualizzare lo spazio e il tempo come se fossero omogenei, senza fenditure. Nell’antichità non la pensavano così. E stabilivano in diversi luoghi geografici, specialmente eletti, e in date precise del calendario, i loro spazi e tempi rituali. E questi sono precisamente, nella trama invisibile della vita, i punti di congiuntura (assemblaggi, nodi e legature) o di interconnessione con altri piani o mondi.25

In questo senso è interessante mettere in evidenza la simbologia dei popoli pellegrini, che in un viaggio attraverso gli anni (tempo) e i diversi luoghi (spazio), trovano il proprio essere solidificando, concentrandosi o cristallizzando come popolo, o nazione, in una determinata circostanza temporale o spaziale.26 Avendo i sacerdoti, i saggi e i capi avvertito questa circostanza, il popolo si stabilisce in quel luogo e in quel tempo, creando in questo modo una cultura. La vita nuova di un gruppo. Un piano, o contesto, che per irradiazione da un centro, come nel modello della ruota cosmica, deve strutturare le concezioni, le emozioni e i sentimenti di una comunità. O, detto in altri termini, la sua ragione d’essere come tale.

Assistiamo ad una ri-creazione del mondo, all’instaurazione di una cosmogonia, che rende possibile la vita di quel gruppo e che lo stesso popolo conforma attuandola. Quella “cosmizzazione” di un punto spazio-temporale della circonferenza, o periferia della ruota, sarebbe un suo raggio, un riflesso dell’unità centrale e un vero centro per coloro che vi si aderiscono.

In questo senso, dobbiamo ricordare ancora una volta che all’energia centrifuga o di espansione corrisponde l’energia centripeta o di contrazione. E che entrambe realizzano insieme il rito della vita e la morte, di quella comunità o di qualunque altra, così come di qualsiasi cosa creata, che è soggetta alla determinante causa-effetto, come tutto ciò che è incluso nel mondo manifestato.

Così, instaurando uno spazio ed un tempo significativi nella massa dell’amorfo e indeterminato27 lo si sacralizza28 e lo si eleva per la sua qualità intrinseca, in detrimento di ciò che è meno significativo o profano, chiaramente vincolato con ciò che è relativo, molteplice e laborioso.

In questo modo, per mezzo di questo rito, nasce un popolo che comincia a contare il suo tempo, la sua storia, da quel momento in poi. Essendo le sue origini, in questa prospettiva, mitiche e non temporali. Allo stesso modo prende coscienza di sé, del suo essere, e visualizza sé stesso come protagonista, “centro del mondo” o “popolo eletto”. Che è come dire che ha un nome.29

Quello stesso nome, o colore, o numero, o particolarizzazione chimico-genetica, o impronta digitale, è assolutamente personale. E si esprime mediante un marchio o segno, che conferisce all’essere la sua individualità in un insieme di esseri. E che – paradossalmente – è nel contempo l’annuncio della sua morte, nella limitazione (causa-effetto) di qualsiasi piano di esistenza. È chiaro, infatti, che ciò che ci dà la vita, per questo stesso espediente ci sta segnando con la morte.

Abbiamo visto, dunque, come la nascita di un essere – per esempio una cultura – crea simultaneamente un nuovo spazio e un nuovo tempo, nei quali si sviluppa quell’essere; e che tale sviluppo non è altro che quell’essere stesso. O detto in altro modo: che ogni creazione rinnova le possibilità spazio-temporali, archetipiche, della creazione originale, e non è altro che una modalità di quella creazione stessa, poiché attualizza le possibilità di ciò che nell’universo manifestato ha dato luogo alle coordinate spazio–temporali.

Per una civiltà tradizionale, le feste sacre sono punti significativi sulla circonferenza del ciclo del calendario, che garantiscono la comunicazione con l’energia invisibile del centro, riflesso della verticalità.30 La stessa cosa succede con il vasto spazio che, come l’anno, presenta punti e situazioni di congiuntura, di comunicazione di energia attraverso distinti piani o livelli.31 Esse hanno luogo in circostanze geografiche precise, nei luoghi in cui si stabiliscono le città, si fondano i templi o si insedia la casa abitazione.32

Questi punti significativi (sacri) sono chiaramente gerarchizzati rispetto a quelli insignificanti (profani), anche se intimamente legati ad essi poiché non potrebbero esistere gli uni senza gli altri.33

In questa prospettiva, il centro del modello simbolico della ruota corrisponderebbe all’origine. E il suo sviluppo manifestato al samsara (per usare un termine induista-buddista), dal quale, e grazie ad una concentrazione di energie, si ritornerebbe all’unità nirvanica simultanea degli esseri e le cose. Dalla quale questi non sono mai usciti, se non in modo illusorio e successivo secondo il modello dialettico della mente duale.

D’altra parte bisogna sottolineare che questa divisione gerarchica tra nirvana e samsara, e anche tra sacro e profano, simultaneo e successivo, è certamente relativa. E valida solo dal punto di vista di ciò che è samsarico, profano e successivo. Vale a dire di ciò che è discorsivo, che cerca di esprimere un solo fatto ed una sola realtà, che in sé stessa comprende la gamma indefinita di tutte le possibilità di manifestazione, qualsiasi esse siano.

Dalla periferia verso il centro si stabilisce questa gerarchia, essendone il centro stesso il massimo grado, come simbolo sul piano dell’unità originale verticale, che produce per gradi tutte le cose e alla quale necessariamente esse ritornano in modo successivo. Se una goccia d’acqua cade in uno stagno, forma un campo di irradiazione che arriva fino ai suoi stessi limiti. Dal punto di vista di un essere situato in quel limite e, pertanto, di un essere successivo, il ritorno alla sua fonte originale si realizzerebbe attraverso la rottura dei diversi circoli concentrici, che gli si presenterebbero come immagini del mondo e stati spazio-temporali differenti, come se fossero una gradonata, che impedirebbero così la sua fusione con il centro. O avvolgerebbero o occulterebbero quella goccia originale, quel seme primigenio, intuito come anteriore al tempo.

La figura simbolica di un circolo34 che contiene altri circoli interni, considerata dal punto di vista della sua espansione (ad extra), è la successione di gradoni intermedi che rendono possibile l’esistenza di qualsiasi creazione.35 Considerata dal punto di vista della periferia, è il viaggio gerarchizzato (ad intra) o la scalata per gradi che si percorre se si ambisce alla fusione con il centro primigenio.36

Nel modello di una città tradizionale (o civilizzazione), i suoi limiti inquadrano uno spazio significativo. Fuori da quest’ordine tutto è incertezza, confusione, barbarie o bestialità. Invece questa città è gerarchizzata. Nella sua periferia vive la grande massa.37 Un grado più interno (o più alto), si trova un numero minore di persone che si dedicano ad attività più specifiche. Un altro grado o passo più interno o in alto, si trova un gruppo ancora più ristretto, la nobiltà, e sopra di essa, solo, l’imperatore, quale incarnazione del potere reale e soprattutto della conoscenza o saggezza sacerdotale.38 Questa è la vera idea di aristocrazia, sempre legata alla gerarchia spirituale e alla conoscenza che essa comporta, senza nessun punto in comune con le versioni a cui siamo generalmente abituati, degradazione ed inversione propria di “questo mondo”.

Nel simbolismo costruttivo, l’architettura del tempio si alza dal piano quadrangolare della base (terra), fino alla semisfera della cupola (cielo), sviluppandosi gerarchicamente su piani o livelli sovrapposti. Questo tempio, sulla sua pianta, o piano orizzontale, riprodurrà le stesse gerarchie verticali della struttura che lo caratterizza ed il passaggio difficoltoso e gradonato attraverso di esso.

La strada rappresenterebbe il mondo della confusione e l’aleatorietà. Su di essa si apre la porta (simbolo del passaggio da uno spazio ad un altro spazio, o da uno stato ad un altro stato) del tempio, che stabilisce propriamente il limite tra il sacro e il profano.

Una volta varcata, e dopo il passaggio tramite l’area in cui si trova la pila battesimale (simbolo della rigenerazione attraverso l’acqua, o nuova nascita), si penetra nel recinto propriamente detto: e si percorre il cammino39 che porta al centro del tempio40 dove si trova l’altare, come proiezione, sul piano, della verticalità della cupola. E sulla pietra di sacrificio, legata al fuoco, il sacrario,41 un recinto o recipiente vuoto capace di accogliere gli effluvi celesti, che si spandono su questo punto come emanazioni e che ben può essere chiamato il “cuore” del tempio.

Da lì in poi le gerarchie sono verticali e, per percepirle, bisogna morire nuovamente e risuscitare, o rigenerarsi nel fuoco. Mentre le acque battesimali sono imparentate con i nati dal ventre di madre (benché facciano digiuni, penitenze, siano asceti, o pratichino la castità come Giovanni battista), il battesimo di fuoco è legato alla pietra del sacrificio, al sangue e al vino cerimoniali; a Cristo e a coloro che ormai virtualmente non hanno più nessun condizionamento umano, nemmeno lo sfocato segno della determinazione della nascita, per cui non si identificano con la propria persona, né con i propri atti relativi. Vale a dire a coloro che ormai conoscono per intuizione diretta gli stati sopraindividuali dell’essere, dei quali si dice che non percepiscono più esclusivamente attraverso i sensi e si trovano nelle condizioni di poter intraprendere un nuovo viaggio, ora verticale.

Questo stesso significato (dei circoli contenuti gli uni negli altri, gerarchizzati rispetto alla loro vicinanza ad un centro o un asse) lo danno gli ebrei, quando dicono che Sion è la terra eletta, dentro di essa si trova la città sacra di Gerusalemme, al suo interno il suo tempio e, occulto nel cuore di quest’ultimo, il Sancta Sanctorum.

Se il tempio è un modello del cosmo, gli effluvi divini devono trovarsi in forma immanente nella sua parte più occulta. Se il corpo umano è anch’esso un tempio e un modello, o miniatura del cosmo, questi effluvi devono trovarsi in forma virtuale, o in potenza, nel fondo del cuore.

Nel modello cosmico della ruota si troverà il punto centrale (invisibile), che articola le sue irradiazioni, o vibrazioni graduali di energia, fino ad arrivare ai suoi limiti o alle sue forme superficiali. Ma bisogna precisare che: a) il tempio non è la somma dei suoi mattoni, né l’inventario quantitativo che potrebbe essere fatto – in qualsiasi direzione – del suo insieme, o delle sue parti. b) Allo stesso modo l’uomo non è la somma delle sue cellule, né il catalogo dei suoi innumerevoli componenti. E, inoltre, che c) nel modello simbolico che stiamo studiando: “trenta raggi convergono nel mozzo della ruota, ma è il vuoto del centro ciò che la rende utile”.42

In realtà ciò che interessa veramente è lo spazio interno e le sue qualità differenti, significative, sacre, e non la successione quantitativa di finestre e colonne del tempio, o i muscoli e i pori dell’uomo, o i luoghi indefiniti per i quali passa, è passata o passerà la ruota. In verità, quel luogo interno è la casa del silenzio o del mistero. Il cuore e la chiave dell’essere. Poiché in esso si trova la possibilità dell’ascensione verticale. La salvazione messianica, o la partenza definitiva dal samsara al nirvana, o stato di “illuminazione”.43

Questa liberazione si raggiunge attraverso un cammino graduale, a tappe, che, nel caso della tradizione estremo orientale, si enumerano dalla periferia al centro come Tao dell’uomo, Tao della terra, Tao del cielo, e Tao dei Tao, o Tao astratto. Nella tradizione giudaica (e, anche in questo caso, dalla periferia al centro), sono Olam ha’asiyah, o mondo della realtà materializzata, Olam hayetsirah, o mondo delle formazioni cosmiche, Olam haberiyah, o piano della creazione e Olam ha’atsiluth, mondo delle emanazioni.

Questo cammino spirale ascendente, che va da ciò che è inferiore a ciò che è superiore,44 da ciò che è più grossolano a ciò che è più sottile, da ciò che è multiple a ciò che è sintetico, e vincola vari piani tra loro, in modo successivo, è quello che descrive Dante nella Divina Commedia. Ed è ben noto che questa via è chiamata dell’iniziazione ai misteri, equivalente alla trasmutazione della coscienza dell’apprendista o alunno, l’ampliamento di tutte le sue possibilità latenti o dormienti. Il quale, attraverso un processo archetipico, realizza un “viaggio”, o cammino successivo; l’avventura della conoscenza, che al fine termina con l’ottenimento di ciò che si stava cercando. Questo ritrovamento è chiamato liquore d’immortalità, elisir di lunga vita, paradiso, tesoro, vita eterna o Santo Grial.

Nel centro archetipico, o sull’asse verticale, si trova quel luogo che tutti gli esseri anelano, anche senza saperlo. Ed è lì dove lo trovano gli uomini di scienza, o filosofi, o artisti, come si denominano gli alchimisti medioevali e rinascimentali. D’altra parte, è in quel luogo invisibile, appena virtuale, dove i saggi di tutti i popoli e di tutte le tradizioni lo hanno trovato unanimemente. Perché sanno che ciò che è maggiore in un senso è minore in un altro, e viceversa. Così, quello che è maggiore in un ordine elevato (cielo), è quasi impercettibile in un ordine basso (terra). E quello che è maggiore in un ordine basso (terra), è minore in un ordine alto (cielo).

Questi ermetici, quindi, cercano ciò che è piccolo, impercettibile, invisibile, sottile, perché sanno che è lì che si trova in potenza tutta la possibilità del potere. E non lo cercano per poi utilizzarlo con animo pratico. E non manipolano questa conoscenza come una “formula” letterale ma, sperimentando in sé stessi, riconoscono o incarnano la verità di questi asserti, nettamente invertiti rispetto all’educazione illusoria ricevuta nel mondo profano, che considera più potente ciò che è relativo alla quantità e ciò che è più grande, quando la realtà è esattamente il contrario, perché qualsiasi atto è incluso nella sua potenza.

In ogni caso, quel “cammino”, o “viaggio”, è analogo a quello della creazione di un mondo o cosmo. È anche la reintegrazione dell’anima nei suoi livelli superiori, sia dopo la morte fisica, sia dopo quella iniziatica. In entrambi i casi, l’anima che si arresta nel “viaggio” divino dell’essere, deve necessariamente cadere verso il basso e reincarnare nuovamente, se si tratta della morte fisica, e limitarsi a un livello del cammino fissato dalle sue stesse convinzioni o condizionamenti, se ci riferiamo all’iniziazione.

In tal caso non avrà potuto essere riassorbita nella sua origine, e sarà costretta a vagare, ancora una volta, attraverso innumerevoli stati dell’Essere universale, avendo perduto l’opportunità che rappresentava lo stato umano, senza che ciò implichi la condanna definitiva,45 ma la difficoltà della realizzazione spirituale e le “prove” necessarie per il “pulimento della pietra”, cioè il passaggio avventuroso ed incerto da uno stato all’altro (morte-risurrezione, snodare-annodare), verso l’immobilità del principio sempre presente.

In questo senso dobbiamo segnalare che l’uomo “progressista”, “vittorioso” e “di scienza”, tale come è concepito dalla società moderna contemporanea – vale a dire da noi, in quanto figli della programmazione condizionata a cui siamo esposti–, non è ancora arrivato, agli occhi di una società tradizionale, ad essere uomo.

Secondo questa concezione esistiamo ordinariamente in uno stato infraumano, e dobbiamo rendere attuali, attraverso un intenso lavoro, le nostre potenzialità latenti o dormienti, fino ad arrivare allo stato edenico, virginale o primordiale,46 che nel nostro modello della ruota è il punto centrale, originale, il tabernacolo del tempio, il cuore dell’essere, lo spazio vuoto nel quale possiamo essere fecondati dallo spirito.

In questo modo si darebbe la possibilità della nascita del Cristo interno (annunciato da Juan ed Elia),47 il quale, a sua volta, attraverso la sua passione e morte, potrebbe infine identificarsi con il Padre, in forma diretta, permettendo la risurrezione e la vita eterna. In questo ultimo caso, si arriverebbe alla fusione con la deità – senza confusione –, all’unione sull’asse verticale rappresentato dall’albero della croce. Vale a dire agli stati sovraumani, o sovracosmici, e alla possibilità della trascendenza assoluta, che nessun linguaggio o codice potrà mai esprimere, ma che può essere vissuta dal vero uomo, nel suo carattere intermediario. Traducción: Margherita Mangini.

NOTE

25 La serie numerica e la scala musicale sono due codici discontinui e le loro componenti non sono omogenee. Da lì derivano i paradossi aritmetici e i semitoni musicali.

26 Nel caso degli aztechi, dopo una peregrinazione di un numero preciso (magico) di anni, questi trovano il loro momento, la maturità necessaria o la scissione temporale adeguata, che corrisponde ad un fatto spaziale: la scoperta di un’isola tra le acque, simbolo tradizionale del centro; e di una pietra, miniatura della montagna, che insieme all’albero – in questo caso un fico d’india – è l’emblema dell’asse.

27Per esempio, lo schema circolare o quadrangolare di una città (o civiltà), in mezzo alla confusione delle selve o i campi selvaggi. D’altra parte, i templi o le tende di culto di forma circolare sono propri dei popoli nomadi, mentre quelli di base quadrangolare corrispondono ai sedentari.

28 Il sacro non ha niente a che vedere con il “religioso” come oggi viene inteso volgarmente.

29 Si ricordi la potestà creativa e intermediaria che possiede l’uomo, concessa ad Adamo nel Paradiso; quella di nominare tutte le cose. D’altra parte, i nomi non sono altro che le forme simboliche dell’innominabile. E si sa che il nome esprime l’essenza della “cosa”.

30 O raggi, nel modello della ruota del cosmo. Questi “raggi”, la cui relazione con ciò che è celeste risulta ovvia, sono emissari che uniscono la terra con il cielo. Nel caso del circolo i “raggi” legano il centro alla circonferenza.

31Come è stato già indicato, ciascuno degli indefiniti punti della periferia costituisce un’ “individualizzazione” e un’immagine riflessa del punto archetipico, sia che corrisponda ad una società sia ad un essere umano.

32 Questi termini sono equivalenti e intercambiabili. L’altare della casa è il focolare, il pater familias è il sacerdote. Tra i popoli nomadi si trasporta un’asta rituale, simbolo dell’asse, che si stabilisce nel luogo in cui quel popolo deve accampare. Altri pellegrini portano quello stesso centro dentro di sé.

33 Nella vita (ciclo) di un uomo, questi punti significativi, nei quali si stabilisce una comunicazione diretta o verticale con altri tempi o spazi, o meglio, dove si attualizzano altre letture o esperienze delle coordinate spazio-temporali nelle quali siamo inquadrati (crocifissi), possono essere visualizzati come stati speciali della coscienza e molti di essi si ricordano come significativi o come evocazioni o “rimembranze”, nel senso che Platone attribuiva a quel termine.

34 O il suo equivalente quadrangolare.

35 Giacobbe, camminando nel deserto, si sdraia in un luogo determinato e con una pietra, simbolo dell’asse (miniatura della montagna), come cuscino, “sogna” con “angeli”, che “discendono” e “ascendono” tramite una scala, dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. Quest’ irruzione della verticalità sull’orizzontalità, è equivalente all’irradiazione del centro o al raggio di una ruota, che comunica il movimento alla periferia, come abbiamo già visto.

36 Così Dioniso Aeropagita, parlando delle linee rette che convergono al centro, ci dice che, nella misura in cui sono più vicine ad esso, l’unione è più intima. E, inversamente, quanto più ne sono lontane, maggiore è la separazione.

37 Che potremmo chiamare la base, se a questo modello piano della città diamo tridimensionalità o rilievo. In effetti, circoli o quadrati successivi, gli uni dentro gli altri, ci danno l’idea, sul piano, di ciò che è la piramide o lo zigurat nello spazio. Che va dalla base numerosa alla culminazione del punto unico e finale.

38 Si noti che la serie espansiva (ad-extra) si potrebbe esprimere così: 1 + 2 + 3 +4 = 10 (numero della totalità). Mentre la serie della contrazione (ad-intra) sarebbe: 10 = 4 + 3 + 2 + 1, secondo la nota tetraktys pitagorica.

39 Lungo questo percorso si trova il “labirinto” (come a Chartres ed in altre cattedrali e templi), simbolo della peregrinazione alla ricerca della conoscenza e del pericolo di “perdersi”, dal quale bisogna trovare con difficoltà l’uscita, per la nostra propria salvazione.

40 In alcune chiese, specialmente nelle cattedrali gotiche, questo centro non si trova nel “mezzo” della forma architettonica, ma nel centro della croce, che è lo schema del piano costruttivo. Come è noto, la croce cristiana non ha i bracci uguali.

41 Il santuario o arca della alleanza è, a sua volta, un’altra miniatura del cosmo.

42 Lao Tse, Tao Te King 11.

43 È curioso osservare che molte persone pensano che l’illuminazione sia qualcosa che si produce con cori sentimentali di violini ed arpe o con una musica grave e solenne, in un mondo cinematografico autocompassionevole e pomposo. Altri credono che arrivi casualmente o come qualcosa di fulminante. In entrambe le versioni, si deve notare che questa “illuminazione” viene da fuori e illumina il soggetto in questione. Ovvero, che c’è un soggetto che illumina ed un oggetto illuminato. Al contrario, l’illuminazione si riferisce ad uno stato di coscienza, in cui noi e le cose siamo una sola identità, senza confusione di nessun tipo. E dove un’illuminazione distinta comprende tutti gli oggetti, che simultaneamente brillano alla nuova luce di uno stato appena scoperto e che si traduce in quella conoscenza.

44 Nonostante le sue prime e lunghe tappe siano descritte, molte volte, come una discesa agli inferi, un viaggio all’inframondo, all’interno della terra.

45 Per un atto di pentimento del presente, ossia una riattualizzazione, si cancellano i “peccati” del passato. L’asse della ruota si mantiene immutabile, mentre il cambio permanente è proprio della mobilità.

46 Sapere che non siamo niente, che non dobbiamo sapere niente, deporre il vano orgoglio dell’ignoranza ufficializzata e la nostra falsa sicurezza.

47 Questo sarebbe, propriamente, lo stato umano. E corrisponderebbe, quindi, alla funzione mediatrice dell’uomo tra cielo e terra. Inoltre, diremo che l’identificazione tra Adamo e Cristo è ben nota. Questa situazione centrale è chiamata Tifereth nella Cabala ebraica e corrisponde al centro da dove il sole estrae la sua energia manifestata, lo ripetiamo, attraverso i suoi raggi o raggi della ruota.